Il «Private equity americano» Blackstone
entra nel capitale di Versace, uno dei marchi italiani più conosciuti al
mondo. L’ha spuntata su «Investcorp», il fondo mediorientale che in
passato era stato azionista anche di Gucci e Tiffany. È una buona
notizia, in tempi in cui le scorrerie francesi, americane, arabe e
quant’altro sembravano aver fatto dei marchi italiani una terra di
conquista come nel lontano Cinquecento.
Dal 2008 al 2012 sono state 437 le aziende italiane passate nelle
mani di acquirenti stranieri, come spiega il rapporto Outlet Italia.
È
recente il passaggio della maison di moda Krizia in mani cinesi. Il
primo colpo grosso del 2014 era stata la cessione di Poltrona Frau alla
statunitense «Haworth», che possiede il 58,6% del capitale. Qualche
tempo fa aveva destato scalpore soprattutto la cessione di Telecom, il
principale gruppo italiano di telecomunicazioni, in mani spagnole dopo
che era stato raggiunto l’accordo tra Telefonica e le banche italiane
azioniste.
Il cahier de doléance finanziario del Made in Italy è lungo, troppo
lungo. Se andiamo indietro nel tempo, troviamo i cioccolatini Pernigotti
ceduti dai Fratelli Averna ai turchi Toksoz. Pochi mesi fa la holding
francese Lvmh ha rilevato l’80% del gigante del cachemire Loro Piana,
fiore all’occhiello delle griffe italiane.
Meglio fermarsi qui: nessun maggior dolore che ricordarsi dei marchi
che hanno fatto il boom economico. Il fatto è che finora le concorrenti
straniere hanno rilevato interamente i nostri marchi e i nostri
stabilimenti, cancellando i quartier generali italiani e quindi
imponendoci le loro scelte strategiche, complice la mancanza di
un’adeguata politica industriale tesa a proteggere le imprese italiane.
E se il quartier generale è all’estero, si può fare poco per fermare
delocalizzazioni, ridimensionamenti, riduzioni di personale e scelte
strategiche decise in un altro Stato. È questa la faccia oscura, l’altro
lato della medaglia della globalizzazione degli ultimi vent’anni in
campo economico come in quello finanziario.
L’iniziativa del fondo di investimento Blackstone, invece, si
discosta da quelle cui siamo abituati da troppo tempo per la portata
molto più limitata. L’operazione decisa dai soci della maison italiana,
infatti, permette al colosso statunitense di entrare con 50 milioni di
euro a fronte di un aumento di capitale riservato di 150 milioni di
euro. Santo e Donatella Versace, insieme con la figlia della stilista,
Allegra, conservano saldamente il controllo del gigante della moda,
mantenendone l’italianità e la libertà creativa e strategica. Come è
noto, il settore del lusso è in piena espansione soprattutto sul fronte
cinese, un mercato immenso in cui l’Italia può giocare molte carte.
E
Versace vuole essere uno dei protagonisti di questo sbarco nel «Far
Est», dalla Corea del Nord alla Cina fino al Giappone, senza dimenticare
la Germania, la Spagna e anche gli Stati Uniti. La maison della Medusa è
stata valutata dagli advisor oltre un miliardo di euro, ma ha
possibilità di un’ulteriore espansione.
Gli americani hanno immesso capitali per il rilancio di un marchio
italiano, dando slancio ai «cervelli» italiani, a cominciare dagli
stilisti che ne fanno parte, permettendo alla maison di rimanere con i
piedi ben piantati in Italia: significa, scelte strategiche, sviluppo,
indotto e soprattutto posti di lavoro. Per questo è una bella notizia.
Il fondo americano entra nel capitale del gruppo Versace con un investimento
di 210 milioni di euro che consentirà di rilevare una quota del 20%. In
particolare, Blackstone sottoscriverà un aumento di capitale da 150
milioni di euro e rileverà quote da GiVi Holding per 60 milioni. "Siamo
tutti incredibilmente entusiasti di questo sviluppo, che riconosce il
lavoro fatto negli ultimi anni per mettere la società su basi solide
quasi raddoppiandone le dimensioni - afferma il ceo di Versace Gian
Giacomo Ferraris -. Versace ha un forte riconoscimento globale del
marchio, una creatività unica e un’organizzazione formidabile che con
l’investimento di Blackstone potrà portare la società al livello
successivo". La famiglia Versace rimarrà totalmente impegnata nel gruppo. Il capitale
della GiVi Holding è diviso tra Santo Versace con il 30%, Donatella
Versace, con il 20% e Allegra Versace, figlia di Donatella, con il 50%,
ereditato dallo zio Gianni, tragicamente scomparso a Miami nel luglio
del 1997. L’accordo riguarda la società operativa, la Gianni Versace
spa. I conti 2013, che saranno resi noti tra un mese, dovrebbero
chiudere con un fatturato di 480 milioni di euro, in
crescita del 18%, e un margine operativo lordo di circa 69 milioni, in
aumento del 50%. Il piano strategico varato lo scorso anno prevede di
raggiungere un fatturato di 800 milioni di euro entro il 2016.
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